| E sono due nel 
    cristallo della stanza che  ad alti gradi di cristalli
 scoscende, accede, s’infianca, s’incastra
 E sono due     
    due vecchi o anche no - & amici – per  nulla e di nulla in lieve accordo parlando
 hanno già povere arterie grassocce e i visceri
 chissà come smacchiando stentano
 E se avessero profili, essi, gli amici, sarebbero
 nel  taglio di quell’infinito cristallo in che
 novembre osa sempre divaricarsi e poi dopo embricarsi
 avido cristallo
 assassinante cristallo
 prémito   preme all’essenza-colori-dell’essenza
 Due che non hanno certo la sapienza dei bonzi,
 non  zen, ma l’occhio sul cortile dove
 trottano verso i colori scatole di latta e penombre Jiip è il nome di uno  e dell’altro
 E in un mezzo-sogno essi tale realtà intravedono
 tra coppi e foglie stravolti dal cristallo
 Due da nulla congiunti se non dal senso di un certo nulla
 ma  come valgono le inezie che vanno dicendosi
 nemmeno i lontani amori evocano
 men che meno i ricordi
 essi sono i ricordi
 essi sono un bel niente
 e si scaldano  al  bel  niente
 Ma è fatale   è sfasciato
 in vasti e variabili cristalli è novembre
 O nel dittico crepuscolare intrusi come un fruscio
    Noi-essi 
    frusciamo parole così scorretti nel loro luccichio così stagnanti
 da divenire sapienti
 Essi-noi  comunque nel vivo anche se al decoro
 delle ombre fini e fredde un po’ alla volta
 s’adeguano – oscuri – tonti
 Asignificante e forse monda è la loro vita
 rattrappita o gonfia l’arteria l’entragna
 essi sono ricordi
 essi stanno seduti ma inciamperanno
 essi sono queste faccende di finestre cortili ed interni
 essi cercano di raccordarsi – e non fa niente –
 a una indivisibile fila folla –anzi la lasciano a parte
 si ritrovano a valle adorarono  si distrassero
 nell’onnipotente 
    irrespirabile levità distanti sono come soprammobili
 e vicini come radicate convenzioni figurative
 nella sempre-più-ombra  più-cristallo
 Parlottano e non è che questo luccichi gran che
 ma, hai naso chiuso, ma c’è.
 Tigre novembre 
    intanto e sempre si aggira riversa tutto ai piedi l’astrale felice disastro
 usa come armi il falcialune e il falciasoli
 fa che il salto dei colori che il disaccordo o coro-
 fa versamento pleurico per pelli e strati yalini e gel
 travasa cristalli smarrisce un dito di vino
 sul tavolino per due
 Due di noi si 
    convincono, nell’ombra di una stanza si infittiscono,
 due di noi perlustrano con chiacchiere e bisbigli
 Eh eh! Zio 
    novembre, così ci stellasti alla primizia del gelo
 così ci estraesti
 in propizi ma inaccessibili “là”
 di finestra in finestra – noi/postremi
 ci intrecci in tintinni in clivi in estraneità
 - dall’interno  all’esterno sempre più interno
 - dagli interni con mobili made in paradise
 - con tendine farfalline in mutazione
 e direi soprammobili e direi di noi
 è/a conoscersi come non visti non raccontati né accertati
 e ricoverati in dicerie in rumeurs
 in spenti barattoli da cortile
 mentre infierisce il silenzio
 il cristallo
 e dà di volta all’infinito
 la bella mente
 mentre s’infianca la stanza
 mentre due c’infianchiamo, uniti,
 ai pellegrini muschi-colori-topi
 tra scatti di falcialune, e di falciasoli
 Rosicchiare, verzicare, sfalciare
 rosicchiare giallicare oltre i tonfi e le serenità,
 azzurricare di lunghissime modulazioni ottiche
 alligna e perlustrando si affila    (al nero)
 si affida – ciack – cieco.
 [Fosfeni, 
    Mondadori,1983] 
    [Andrea Zanzotto] |